Nella mattinata di oggi la Polizia di Stato de L’Aquila, con l’ausilio del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, delle Squadre Mobili di Roma, Rieti, Bari, Caserta, Napoli, Reggio Emilia, Parma, Modena, Catania, Genova, Messina, Potenza e Terni, ha portato a termine l’operazione denominata Hello Bross, eseguendo trenta misure cautelari in carcere nei confronti di altrettanti cittadini nigeriani dimoranti in Italia.
Gli arrestati sono ritenuti membri dell’organizzazione mafiosa nigeriana denominata Black Axe, finalizzata al compimento di numerosi reati tra cui traffico di stupefacenti, immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione, truffe romantiche, truffe informatiche e riciclaggio anche attraverso la compravendita di bitcoin, per un totale di quasi 100 capi di imputazione.
Sono state eseguite, inoltre, venticinque perquisizioni domiciliari e personali nei riguardi di altrettanti cittadini nigeriani parimenti indagati per associazione di stampo mafioso.
I provvedimenti restrittivi sono frutto di una articolata e complessa attività d’indagine condotta dalla Squadra Mobile de L’Aquila, dalla Sezione di Polizia Giudiziaria e dal Servizio Centrale Operativo, collaborati dal Servizio di Cooperazione Internazionale di Polizia e dal Servizio Polizia Scientifica.
Le indagini hanno consentito di accertare l’esistenza e l’operatività, in Italia, di una associazione a delinquere di stampo mafioso costituente un’articolazione dell’organizzazione criminale, denominata appunti BLACK AXE, che ha i suoi vertici in Nigeria. Il Zonal Head Italia, ovvero il capo in Italia della consorteria criminale è stato identificato in un nigeriano di 35 anni che dirigeva, dalla città di L’Aquila, tutte le attività criminali del sodalizio.
In particolare, è stata ricostruita l’intera struttura dell’organizzazione criminale, individuandone i vertici nazionali e i componenti delle articolazioni periferiche (Forum) presenti in diverse città italiane, tutti appartenenti ad una struttura associativa unitaria facente capo, in Italia, al predetto nigeriano stanziale a L’Aquila.
Gli indagati si sono resi autori di numerosi reati, in prevalenza rientranti nel cybercrime, realizzando così cospicui guadagni: le evidenze investigative hanno delineato una struttura, operante anche a livello transnazionale, dedita alla commissione dei delitti con compiti svolti in modo modulare da ciascun appartenente.
Una particolare forma di truffa informatica consisteva nell’acquisto di bitcoin con i quali venivano poi reperiti, nel mercato del darknet, i numeri delle carte di credito clonate che venivano a loro volta utilizzate per comprare sui siti e-commerce numerosi beni e servizi, quali cellulari, televisori, computer, abbigliamento e scarpe di marca, biglietti aerei etc.
L’attività investigativa e gli accertamenti patrimoniali, questi ultimi condotti anche grazie alla preziosa collaborazione dell’Unità Informativa Finanziaria della Banca d’Italia e dell’Ufficio Antiriciclaggio di Poste Italiane, hanno permesso di cristallizzare solidi elementi di responsabilità nei confronti degli appartenenti al gruppo criminale mafioso, dotato di cospicue disponibilità di denaro e diffuso in vari paesi europei ed extraeuropei.
Il denaro provento dei vari delitti veniva reinvestito in un vero e proprio reticolo di transazioni finanziarie che rendevano più difficile la tracciabilità del denaro, nel tentativo di dissimulare l’origine illecita dei fondi.
Nonostante il tentativo di adottare un basso profilo da parte del capo del gruppo criminale “Zonal Head Italia”, le indagini hanno messo in luce la presenza di un’organizzazione gerarchica, caratterizzata da aggressività e violenza, dotata di rigide regole di condotta che ne disciplinano l’accesso e dalle quali discendono, per gli appartenenti, precisi obblighi la cui osservanza è finalizzata al rafforzamento della consorteria e del vincolo associativo.
Altre peculiarità emerse nel corso delle investigazioni sono l’utilizzo di determinate terminologie, simbologie e gestualità, riti di affiliazione, collegamenti con la casa madre nigeriana e con le altre ZONE, cioè delle macroaree corrispondente a una o più nazioni; il gruppo criminale effettuava anche delle raccolte di denaro in favore dei sodali arrestati con la presenza di una cassa comune con la tenuta di un libro mastro.
Queste sono solo parte delle evidenze investigative emerse nei due anni in cui la Polizia di Stato di L’Aquila ha svolto le indagini che hanno visto gli investigatori della Squadra Mobile della Questura e della Sezione di Polizia Giudiziaria aquilane e del Servizio Centrale Operativo impegnati nelle attività di raccolta, analisi, approfondimento e riscontro di un notevole quantitativo di conversazioni telefoniche, ambientali e telematiche, comunicazioni sui social e sulla posta elettronica, nonché l’analisi di conti correnti, il tracciamento dei flussi di denaro e delle cripto valute, servizi di osservazione e pedinamento effettuati su tutto il territorio nazionale.
Grazie a tale serrata attività, si sono accesi i riflettori su una radicata organizzazione criminale mafiosa di origine nigeriana, presente in Italia ed in Europa, che non è dedita soltanto a commettere crimini comuni ma che si è ben strutturata anche per rivolgersi a network criminali più evoluti e raffinati.